fidelity-card-in-farmaciaTrovo sempre molto interessanti ed utili le vostre news, ma voglio segnalarvi che nella Sediva news dell’8/2/13 è contenuto un errore, forse dovuto a un refuso, laddove scrivete che “la fidelity card in farmacia… è quindi ammessa soltanto per il ‘parafarmaco’ in genere e per i medicinali da automedicazione che non siano soggetti al divieto di pubblicità, ecc…”.

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Vi chiedo inoltre: il divieto nel decreto Bersani di operazioni a premio e vendite sotto costo per i farmaci come si concilia con la liberalizzazione dei prezzi? E quali sono a questo punto le modalità consentite per praticare gli sconti?

Fidelity card in farmacia, escluso ciò che è farmaco

In realtà, come abbiamo potuto facilmente appurare, si è trattato proprio di un errato gioco di “copia e incolla” nella composizione del testo di quella news, perché non c’è dubbio – allo stato – che il persistente vigore dell’art. 5 del dl. Bersani 223/2006 impedisce l’estensione a un qualunque farmaco (“etico”, sop, otc) di programmi di fidelizzazione, di operazioni a premio, ecc.

Piuttosto, ma anche il quesito lo lascia intendere, le cose sembrano destinate a cambiare – purtroppo, crediamo di dover aggiungere – anche in questa direzione.

Se Lei infatti rileggerà, avendone tempo e voglia, la ns. Sediva news del 22/02/2013 (“Gli orari delle farmacie dopo le sentenze della Consulta sui negozi e della Cassazione sulle intese tra farmacie”), il quadro che vi viene delineato sul ruolo assunto anche nell’ordinamento interno da una concorrenza ormai inarrestabile – come sta ribadendo su tutti i fronti la giurisprudenza, che piega sempre più al suo strapotere tutti gli altri interessi pubblici, compresi quelli sinora considerati gerarchicamente ai vertici delle scelte del legislatore – può dare forse l’idea di quel che potrebbe tra non molto accadere.

Si ha cioè l’impressione che anche per i farmaci le operazioni a premio, le fidelity card in farmacia, le varie 3×2 o 10×8 o 15×20 o 1+1, ecc., e le tante altre vicende che possono oggi far arricciare il naso ai puristi, rischino ben presto – per l’intervento appunto di qualche massimo organo di giustizia, e se prima non vi provvederà direttamente il legislatore – di diventare anch’esse (pur se diverse dal classico sconto sul prezzo) formule commerciali parimenti correnti, trasformando così i dibattiti di questi tempi in amenità e questioncelle d’antan.

Ma almeno per il momento, per tentare ora di sciogliere il Suo primo dubbio, ha ragione il Ministero della Salute che, con nota dell’ufficio legislativo in data 23/02/2012, ha condannato senza eccezioni tutti i 3×2 e simili aventi per oggetto farmaci (ancor più se soggetti a ricetta medica, come era il caso di quelli sottoposti al suo parere), spiegando con argomenti anche convincenti – e però forse in qualche caso un po’ troppo formalisti – perché “il commercio al dettaglio dei farmaci non può essere assimilato a quello dei comuni beni di consumo” e in che cosa tutte quelle vicende si distinguano dalla pratica dello sconto, invece ammesso anche su tutti i farmaci dal comma 8 dell’art. 11 del ddl.

Passando all’altra domanda, ci pare di dover riprendere un interrogativo che ci siamo posti già all’indomani dell’entrata in vigore dell’originario dl. CresciItalia (il comma 8 non è stato peraltro neppure sfiorato dalla legge di conversione) e che nasce dalla diversa formulazione che sul punto specifico adottano, da un lato, il comma 3 del citato art. 5 del dl. Bersani del 2006 e il comma 4 dell’art. 32 del dl. SalvaItalia (che riguardano ambedue otc, sop vecchi e sop nuovi e hanno quindi come destinatarie sia le farmacie che le parafarmacie) e, dall’altro, proprio il comma 8 dell’art. 11 (relativo a “tutti i tipi di farmaci e prodotti” e rivolto evidentemente alle sole farmacie).

Le prime due disposizioni, infatti, prescrivono entrambe che “gli sconti siano esposti in modo leggibile e chiaro al consumatore e siano praticati a tutti gli acquirenti”, mentre la norma di “massima liberalizzazione” contenuta nel dl. CresciItalia (perché è quella che in un sol colpo abbatte l’antico caposaldo della immodificabilità sia dei turni e orari obbligatori che del prezzo del farmaco soggetto a prescrizione) prevede più semplicemente che “Le farmacie possono praticare sconti sui prezzi di tutti i tipi di farmaci e prodotti venduti pagati direttamente dai clienti, dandone adeguata informazione alla clientela”.

È una diversità di vocabolario – questa la domanda del tutto lecita – che può dirsi significativa, cioè espressione di una diversità anche della voluntas legis?

Anche qui è intervenuto, sempre a richiesta, il Ministero che – con nota del 16/3/2012, a firma questa volta del direttore generale – oltre ad aver ribadito la condanna del “3×2” per i farmaci, ha affrontato rapidamente anche questo aspetto rispondendo negativamente all’interrogativo.

Per la nota ministeriale, infatti, “la circostanza che all’art. 11… non sia ribadito l’obbligo che gli sconti da esso previsti siano praticati a tutti i clienti non consente di desumere che per tali sconti non sussista detto obbligo”, dato che il comma 8 “ha, essenzialmente, lo scopo di estendere a tutti i medicinali venduti in farmacia, purché pagati direttamente dal cliente, la possibilità di sconti, già prevista dall’art. 32 ecc.”.

Personalmente, non giureremmo però sulla correttezza anche di questo assunto, che sembra del resto un modo come un altro per liquidare sbrigativamente la pratica risolvendola nella direzione più… indolore possibile.

Invero, se l’art. 32 aveva avuto cura, come abbiamo visto, di appiattirsi perfettamente sul testo dell’omologa disposizione del dl. Bersani, eguale necessità avrebbe potuto/dovuto avvertire – se il disegno fosse stato lo stesso, come pensa il Ministero – anche il disposto del comma 8, tanto più che recava con sé una scelta epocale e una rottura definitiva con il passato e che, in sede di conversione in legge, l’originario testo dell’art. 11 aveva subito un’infinità di rimaneggiamenti che avevano però lasciato miracolosamente intatto il testo dell’ex comma 6 del dl. (diventato comma 8 dopo la conversione).

Sta di fatto che qui c’è una disposizione che reca un testo ben diverso dalle due precedenti (e sappiamo che lex posterior derogat priori), né è scontato che tra il comma 8 dell’art. 11, da una parte, e le altre due disposizioni, dall’altra, vi sia (insistendo sul latino) quella piena eadem ratio che possa condurre ineludibilmente ad un’eadem dispositio; anzi, se guardiamo all’intero provvedimento CresciItalia, ma anche soltanto all’art. 11 o persino al solo comma 8, non sarebbe affatto stravagante pensare che alla diversità dei testi possa corrispondere una diversità anche del loro significato.

È un tema tuttavia troppo delicato – se non altro per la varietà e l’imprevedibilità dei comportamenti che ne possono derivare – per abbracciare decisamente un corno del dilemma e rifiutare l’altro, senza contare che anche qui potremmo avere in tempi non lunghi un riscontro giurisdizionale e magari anche l’intervento dell’Antitrust, che riesce acrobaticamente a interessarsi un po’ di tutto.

In definitiva, però, la disposizione del dl. Bersani citata nel quesito può forse oggi apparire lontana qualche anno luce (pensando anche ai disagi che affliggono in questo momento il firmatario di quel provvedimento…) dal quadro normativo che si va via via consolidando, pur se questa fase iniziale di stallo della XVII Legislatura – che in ogni caso potrà trascinarsi anche a lungo per le ragioni che stiamo tutti vedendo – ne arresterà probabilmente almeno per qualche tempo l’evoluzione.

Ma il clima, questo è certo, è tuttora quello dei lavori in corso…

(gustavo bacigalupo)

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